La pelle del mare all’improvviso si era fatta scura, melmosa, di un colore tenebroso e indefinibile. Le acque furiose, che dai canali scendevano a mare, si contorcevano su se stesse con una forza bestiale, che nessuno più avrebbe potuto ormai fermare. Troppo tardi. Il fango si era preso tutto quello che gli capitava davanti, senza chiedere nulla, e se lo era portato via tra le misteriose correnti del mare.
Così portò via anche te, caro Antonio, e avremmo tutti voluto strapparti da quel fango.
Abbiamo così atteso invano di ritrovarti seduto su una roccia a pensare, perché i tuoi pensieri erano buoni, la visione che avevi di questa terra era giusta. Preferivi non dire il tuo nome (“potrei dirvi come mi chiamo, ma lo dimentichereste”), così ti raccontavi attraverso quello che consideravi uno stile di vita semplice: il mestiere di allevatore.
Ti scrivo oggi per dirti che invece il tuo nome me lo ricordo bene e me lo voglio ricordare per sempre. L’ho sentito sai il tuo nome. È sulla bocca e nel cuore di molti giovani ansiosi di costruire un futuro qui, tra gli ulivi e il mare; l’hanno pronunciato nelle piazze, al mercato e anche nelle scuole. Voglio anche dirti che quella parte di meraviglioso Gargano che in tanti si sforzano di raccontare, di scrivere, di vivere, deve al tuo nome una rinascita – sì la chiamo proprio così senza paura di abusare di questo termine. Perché le rinascite non si costruiscono con le chiacchiere o seduti intorno a un tavolo, ma nelle coscienze di ogni singolo individuo, attraverso stili di vita concreti come il tuo.
Hai ricostruito tutto quello che l’uomo/cittadino incapace, avido di potere o di un permesso, abusando di un territorio o chiudendosi dentro casa, aveva distrutto. No! Non voglio pensare più a chi è rimasto lì, fermo, immobile a un anno fa, a un decennio fa, a un ventennio fa, a un trentennio fa e così via con gli anni, a sgranare le stesse lamentele del tanto le cose non cambiano mai. Se non è cambiato nulla allora accomodati pure e aspetta, tanto è così che sei abituato a fare, mentre punti il dito nell’attesa di un mondo migliore che probabilmente per te non arriverà mai.
Come? Ti sei dato da fare e non sei stato ascoltato? Prova a farlo con più intensità. Certo, sì, la politica, ma ora non riempirti più di tanto la bocca e non crearti il solito alibi per ogni occasione: a ciascuno il suo, hanno scritto. La porta d’altronde credo sia sempre aperta. Così Antonio hai scoperto anche le nostre fragilità. Hai rimosso il torpore silenzioso, l’immobilismo vitale e decisionale.
Nei giorni del dolore hai portato alla luce la solidarietà. Hai insegnato che bisogna studiare per seguire le proprie passioni. Hai detto che a dare sapore al cibo è la storia delle donne e degli uomini che faticano sotto il sole, sfidando le legislazioni. Andavi fiero delle tue origini e ci hai fatto capire che sono il senso della vita. Della terra bisogna prendersi cura e non bisogna offenderla. Hai indicato una nuova strada che dobbiamo continuare a percorrere, che ci porta lontano dal vicolo senza speranza che ciechi avevamo imboccato. Ripercorrere sulla nostra adorata terra i tuoi giovani e sapienti passi, nel tentativo di fargli fare tanta strada, andando avanti e avanti, ancora avanti, scrivendo pagine, storie, giorni, e non dimenticandoci mai che “di quel poco che la terra offre bisogna sempre trarre il meglio”. Così dice Antonio.
Francesco A. P. Saggese
Grande ANTONIO……. sono onorato di essere un Garganico come TE!
Spero che da la sù ci guidi sulla strada migliore per raggiungere grandi mete, ed onorare il nostro territorio che amavi tanto.