C’è un aspetto poco noto, conosciuto solo dagli specialisti, che contraddistinse un’epoca storica in cui parte del territorio italiano fu governato dagli Albanesi. Spesso, inseguendo i ricordi di storia contemporanea appresa a scuola e all’università, rammentiamo come re Vittorio Emanuele III fosse re d’Italia e d’Albania dal 16 aprile 1939 al 25 ottobre 1943.
Ma c’è un aspetto poco noto, conosciuto solo dagli specialisti, che contraddistinse un’epoca storica in cui parte del territorio italiano fu governato dagli Albanesi.
Col senno di poi, se volessimo adoperare il metro dell’attuale diritto internazionale, era più albanese quella parte d’Italia retta dagli schipetari nel XV secolo (Honor), che non l’Albania “italiana” nell’anzidetto periodo (Unione Personale).
Ma vediamo gli eventi come si sono svolti, non tralasciando di analizzare il grande rilievo storico e strategico delle regioni in questione.
Monte Sant’Angelo
Monte Sant’Angelo, maggior centro del Promontorio garganico, famoso sin dall’Alto Medioevo per il Santuario di San Michele Arcangelo, che fu visitato da numerosi papi, imperatori e principi, divenne una delle tappe sacre dei penitenti che si recavano in pellegrinaggio in Terra Santa o alle Crociate. Anche San Francesco d’Assisi si recò in pellegrinaggio dal 1216 al 1222. Notevoli, storicamente ed artisticamente, anche la Chiesa di San Pietro, la cosiddetta Tomba del re longobardo Ròtari, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, e l’imponente Castello Normanno, nella cui edificazione, come vedremo, gli Albanesi dettero un decisivo contributo.
La città sorta intorno al più antico santuario della Cristianità dopo Gerusalemme e Roma, ebbe notevolissima importanza sin da epoca tardoromana e altomedievale. Per oltre un millennio questa cittadina è stata ininterrottamente fortificata, e la sua permeanza tattico-logistica è stata ben descritta nel 1500 con le parole del Marcoldi: “Però è da sapere che quattro sono le parti principali, per le quali si dubita, che il turco possa mettere il piede nel Regno, cioè Taranto, Bari, Trani e Monte Sant’Angelo […] Resta il Montesantangelo, il quale stando a Cavallero di tutta la Puglia circonda sessantamiglia, con una parte sopra il mare, di sito fortissimo”.
L’Honor
L’Honor di Monte Sant’Angelo fu costituito nel febbraio 1177 da Guglielmo II il Buono di Sicilia (1166-89), come dominio “in cui si esercita un’autorità più alta di quella feudale” (P.F. Palumbo), in riconoscimento del prestigio che era legato al Santuario, ovvero alla sacralità del luogo.
Il dominio comprendeva, oltre alla capitale Monte Sant’Angelo, anche Siponto, Vieste, Lesina, Peschici, Ritum (forse l’attuale Rodi Garganico), Carpino, Cagnano, Sfilzi, Candelaro, Versentino, Lanzano, e i monasteri di San Giovanni in Lamis, Santa Maria di Pulsano nonché i loro possedimenti. L’Honor fu assegnato in dotalizio a Giovanna, figlia di Enrico II re d’Inghilterra (1154-89), e moglie del suddetto re Gugliemo.
L’Honor passa agli Albanesi
Quando Ferdinando I d’Aragona re di Napoli (1458-94) dovette riparare a Barletta, per sottrarsi all’attacco degli Angioni, egli fu assediato in quella città, e poté essere salvato per l’intervento di Skënderbeu. Per riconoscenza il re, nel 1464, diede in feudo al principe albanese il ducato di Monte Sant’Angelo, che comprendeva anche San Giovanni Rotondo, ossia l’Honor.
È chiaro, a questo punto, che l’antico Honor, con tutto il suo vasto territorio, interruppe il proprio processo di dissoluzione, e ad esso subentrò un ducato di proporzioni molto ridotte e di giurisdizione più limitata, rispetto al passato, ma più facilmente difendibile.
La signoria di Skënderbeu e dei suoi eredi durò circa un ventennio. Ferdinando I aveva voluto dimostrare la sua gratitudine al principe albanese, concedendogli, insieme al feudo, ampiezza di poteri e di entrate, quali il privilegio della “marittima”, ovvero la riscossione di balzelli sulle merci imbarcate e sbarcate, la diretta giurisdizione regia, che ne escludeva ogni altra, la facoltà di esportare merce di qualsiasi valore dalla costa di Monte Sant’Angelo e dal porto di Mattinata, con esenzione dei diritti dovuti a Manfredonia. Mentre Skënderbeu era in Albania, a combattere contro i Turchi nel 1467, la moglie, Andronica Comneno, venne a Monte Sant’Angelo a prendere possesso del Castello e a dimorarvi. Ma dopo pochi mesi essa dovette accorrere in Albania, per assistere l’eroico marito malato, che morì nel gennaio 1468, a 65 anni. Rimasta vedova, Andronica, col figlio Giovanni Castriota, se ne andò a vivere a Napoli con le rendite che ricavava dal ducato di Monte Sant’Angelo, dove aveva ottenuto anche la riscossione della tassa sul sale.
L’usura del tempo e gli assalti subiti avevano già da anni lasciato i segni sul Castello Normanno e le mura fortificate. Ferdinando I, che nel 1475 tornò a Monte Sant’Angelo, non da guerriero, ma in veste di pellegrino a Monte Sant’Angelo, si rese conto di persona, forse in quell’occasione, della necessità di restaurare i punti più importanti delle fortificazioni. Non tralasciò di dare le opportune disposizioni nell’ambito di un disegno generale, per il quale, nel 1483, ordinò a Giovanni Castriota di provvedere affinché “le terre di marina, della Montagna, di Vieste non abbiano a dubitare dell’armata nemica”. I lavori di restauro procedettero di sicuro in modo soddisfacente, se, nel 1484, il re “scrive ai cittadini di Monte Sant’Angelo, ringraziandoli della loro diligenza con la quale si attende alle fortificazioni e al restauro delle mura e dei passi di quella città. Si prega di perseverare nel bene, tanto più che è assente l’Ill.mo Giovanni [Castriota], loro utile signore, il quale se ne reca in terra d’Otranto, contro i nemici” (N. Barone).
Al termine dei lavori, nel 1493, il castello di Monte Sant’Angelo, come avvenne nello stesso tempo per quello di Manfredonia, risultò rafforzato dalle due grosse e maestose torri tronco-coniche e dal bastione orientale, oltre che munito di elevate cortine in robusta muratura e con feritoie idonee a fronteggiare le nuove esigenze difensive, nate con l’uso delle artiglierie e, in genere, delle nuove armi da fuoco. Il re si sentì molto rinfrancato dai lavori compiuti e, nell’informare, nel 1492, Giacomo Pontano ed altri dei provvedimenti da lui adottati nel caso che “il Turco rompesse la pace”, dette disposizioni perché “Messer Theodoro de Trivulci vada ad lo monte de Sancto Angelo con cento uomini d’arme” (Trinchera).
È questo il periodo in cui Ferdinando I cominciò a fare erigere le numerose torri di guardia contro i Saraceni, le quali, costruite in maggior numero durante il periodo spagnolo, ancora si osservano lungo la costa del Gargano e di tutta l’Italia Meridionale.
Tornando alle vicende del feudo albanese, Giovanni Castriota, nel 1484, mal sopportando l’irrequietezza dimostrata dalla popolazione per il necessario fiscalismo inteso alla fortificazione della zona, chiese ed ottenne da re Ferrante la permuta di Monte Sant’Angelo e di San Giovanni Rotondo con le terre di Soleto e di San Pietro in Galatina, presso Lecce, col titolo di conte.
Tutt’oggi nel Comune di Monte Sant’Angelo la presenza albanese è ricordata nel migliore dei modi: nello stemma ufficiale del Municipio è disegnata la “shqiponja dykrenore”, con una testa che guarda a Roma e l’altra a Costantinopoli, sottolineando la centralità e l’equilibrio storico e geopolitico dell’Albania.
(fonte: AlbaniaNews)