La nostra Comunità Parrocchiale ormai da sedici anni è accompagnata dalla presenza delle Missionarie dell’Immacolata di Padre Kolbe che ci hanno aiutato a scoprire il volto missionario della Parrocchia. Ascoltare e accogliere chi ci sta accanto è sicuramente il primo passo da fare, ma ognuno su questa strada può scoprire una propria e particolare vocazione missionaria.
Una prima considerazione mi pare necessaria. Se ci fermiamo a riflettere sul volto missionario della parrocchia, non è per dire che oggi essa è divenuta opaca, insignificante, ripiegata su se stessa. La parrocchia è già missione, poiché incarna quella dimensione di prossimità, di attenzione alle persone, di “bassa soglia” che consente a tutti di entrare in contatto con la Chiesa e con il Vangelo. Molti cammini della vita delle persone passano attraverso la parrocchia. Semmai, allora, il primo passo è riscoprire e valorizzare tutto il bene che già esiste. Occorre compiere però un cambiamento di prospettiva. Se domandassimo “chi è la parrocchia?” forse molti risponderebbero enumerando strutture e attività. E molte di queste risultano, in effetti, stanche e inadeguate. Ma se chiedessimo di elencare i modi in cui i cristiani che abitano il territorio sono capaci di testimoniare e di annunciare il Vangelo attraverso la loro vita, scopriremmo un tesoro nascosto fatto di persone che con generosità, coraggio, fedeltà… rivelano al prossimo il volto di Cristo. Troveremmo una rete di legami e solidarietà di grande valore. Probabilmente molti di questi anonimi apostoli non hanno coscienza di agire per conto della comunità cristiana e non si sentono valorizzati e riconosciuti in questa loro attività silenziosa. Occorre in questo senso recuperarne la valenza ecclesiale. Ma questa è la parrocchia; o almeno, anche questa: tutto ciò che di significativo i cristiani fanno in nome del Vangelo in un determinato territorio.
Le Missionarie dell’Immacolata di Padre Kolbe con i loro numerosi racconti e con le loro pubblicazioni ci hanno aiutato in questi anni ad uscire dalle nostre visioni troppo ristrette e ad aprirci al mondo. Quanto detto permette già di intuire che, per parlare del volto missionario della parrocchia, occorre porci il problema dei suoi confini. Non quelli giuridici, naturalmente, ma quelli mentali. Siamo forse ancora troppo legati all’idea di parrocchia come “attività che si svolgono nelle sue mura”. Se invece, come abbiamo visto, la parrocchia è anche la vita dei cristiani nei loro ambiti, occorre spostare il confine (mentale) della nostra riflessione a quanto succede fuori dalla parrocchia. È questo il nostro ambito di interesse. Potremmo pensare alla parabola della pecora smarrita e delle 99 rimaste, se non fosse che oggi la proporzione si è (quasi) ribaltata! Credo che questa dovrebbe essere la prima preoccupazione di una parrocchia: conoscere la sua gente, ascoltarla in profondità, visitarla, sostenerla. Accoglierla, certo, ma anche farsi accogliere. Se una volta bastava convocare, oggi occorre andare e incontrare. Abbiamo bisogno di riscoprire il vissuto delle persone, le loro storie, gioie e preoccupazioni. Di farci interrogare, prima di proporre incontri, attività, riunioni…
Molti possono essere i modi per esercitare questo ascolto: le visite del parroco in occasione delle benedizioni, ma anche delle catechiste alle famiglie dei loro ragazzi, di coppie in occasione del battesimo dei bambini. Occorre però che via sia un luogo in cui queste voci trovino poi ascolto e rielaborazione. Fondamentale, in una parrocchia che si vuole missionaria, è quale coscienza della comunità hanno le persone che vi partecipano più assiduamente, la cosiddetta “comunità eucaristica”. Ci può infatti essere il rischio che la comunità più ristretta veda se stessa come la vera “proprietaria” della parrocchia, quasi un circolo privato. Spesso inoltre, vista la ristrettezza di forze attive, questo (piccolo) gruppo può cadere nel rischio del lamento e del giudizio verso chi frequenta la comunità solo saltuariamente.
Se, invece, la comunità cristiana si concepisce come un gruppo convocato dal Signore in vista del Regno di Dio, convocato, cioè, per essere inviato, la prospettiva cambia radicalmente. L’accento non è più messo sull’intra, ma sull’extra; non sulle preoccupazioni “di campanile” ma su quelle legate alla vita delle persone; non sulla Chiesa, ma sul Regno di Dio. È precisamente questo, il Regno, l’orizzonte che deve guidare una comunità: cogliere, accudire, rilanciare, sostenere i segni della presenza del Regno, che già sono presenti nel territorio e nella gente che lo abita. Questa apertura noi l’abbiamo imparata dalle Missionarie dell’Immacolata di Padre Kolbe. La missionaria che è stata quasi sempre con noi è Rosalba che come tutte le Missionarie è una donna molto buona e dai tratti gentile e piena di carità cristiana. A questo punto non stupirà l’affermazione che il centro della comunità non è il parroco, ma Gesù Cristo che raduna e invia. Ognuno, qualunque sia il suo stato di vita e la sua condizione è inviato e chiamato e, più ancora, può compiere un servizio in vista del Regno che viene. I ministeri o servizi, però, non sono solo quelli più noti, spesso legati alla gestione della parrocchia: catechisti, lettori, cantori… Essi riguardano tutta la vita della comunità e dei suoi membri. Ci potrebbero essere così persone incaricate di visitare le famiglie del quartiere, di accompagnare le giovani coppie o i giovani lavoratori. Spingendoci un poco oltre, immaginiamo, per esempio, una persona che assiste un parente malato in casa; egli è per questa persona non solo un conforto ma il volto amabile della Chiesa. Non un fatto privato, ma un vero servizio ecclesiale. E lo stesso si dovrebbe dire di quei cristiani che si impegnano secondo il Vangelo nella scuola, nel sindacato, in politica. Voglio ringraziare le Missionarie per tutto quello che in questi anni hanno fatto per noi ci hanno fatto crescere e maturare la comunità cristiana affinché in tutti di consolidi la coscienza di essere missionari.
Don Michele Pio Cardone (Parroco)